Il diritto di recesso nei contratti a distanza

Il codice del consumo

Con l’approssimarsi del periodo natalizio aumentano a dismisura le offerte contrattuali indirizzate al vasto bacino dei consumatori in cerca dell’occasione più vantaggiosa. 

Al telefono e fuori dai supermercati riceviamo proposte contrattuali che possono anche essere all’apparenza molto allettanti; ma cosa succede se successivamente ci rendiamo conto che in effetti quanto acquistato prima non fa per noi?

Spesso accade, infatti, che per non perdere “l’occasione” ci si lascia convincere alla stipula di un nuovo contratto per la linea telefonica o per un depuratore dell’acqua. Il codice del consumo, in questi casi, ci offre una agevole via d’uscita che prende il nome di “diritto di ripensamento”. 

Nel caso di stipula di contatto a distanza, cioè di contratto concluso telefonicamente, ovvero di contratto concluso al di fuori dell’attività commerciale (si pensi al venditore porta a porta), sono previsti 14 giorni di tempo per poter recedere dal contratto senza alcuna penale. 

Ciò significa che, nel caso in cui decidessimo di recedere dall’impegno contrattuale assunto in queste particolari situazioni, potremmo (entro 14 giorni dalla stipula contrattuale) inviare una semplice raccomandata con avviso di ricevimento per impedire che il contratto ponga in essere i suoi effetti. 

L’articolo 49 del codice del consumo riporta, inoltre, una serie di informazioni che il venditore è obbligato a fornire al consumatore. Ad esempio, dovranno essere esplicitate in maniera chiara le caratteristiche del servizio fornito, i costi complessivi di imposta e i termini e modalità di pagamento, le modalità di calcolo del costo nel caso in cui questo non possa essere individuato anticipatamente, le condizioni sulla garanzia del prodotto. 

Oltretutto il venditore è obbligato ad informare il consumatore circa il diritto di recesso di cui sopra, informandolo, inoltre, sulle modalità per la sua attuazione. Nel caso in cui ciò non fosse fatto, il diritto di recesso si estenderebbe in automatico a 12 mesi. 

L’articolo 52 disciplina proprio il “diritto di recesso” o di ripensamento. Il termine dei 14 giorni viene fatto decorrere dal giorno della stipula del contratto di servizi; mentre nel caso in cui si tratti di contratti di vendita, il termine decorre dal momento in cui il consumatore ne ha materialmente acquisito il possesso.

L’articolo 59, invece, disciplina le “eccezioni al diritto di recesso”. Il consumatore non potrà usufruire di questo diritto nel caso in cui sia egli stesso a rinunciarvi, oppure nel caso in cui l’oggetto del contratto consista nella fornitura di prodotti su misura. O ancora nel caso di fornitura di alloggi per fini non residenziali, catering o noleggi auto, o altri ulteriori casi espressamente elencati dal legislatore.

Ad ulteriore tutela del consumatore, l’articolo 49 comma 10 dispone che l’onere della prova sul rispetto delle disposizioni appena indicate grava sul fornitore del servizio. In questo modo il consumatore non dovrà provare la violazione degli obblighi prescritti in capo al fornitore, ma sarà sufficiente che il consumatore dichiari la lesione dei propri diritti. 

Dott. Riccardo Speciale

Il prezzo esposto non corrisponde a quello indicato alla cassa, cosa accade?

Offerta al pubblico

Quante volte vi è capitato di trovare un prodotto che credevate in offerta, per poi scoprire alla cassa che il prezzo esposto non corrispondeva a quello reale?

L’articolo 1336 c.c. disciplina la c.d. “offerta al pubblico”, si tratta di una proposta contrattuale destinata al pubblico. L’errore del prezzo esposto deve essere corretto esattamente con le stesse forme che sono state adoperate per l’offerta del prodotto. 

Ciò significa che, nel caso in cui il negoziante si accorga dell’errore sul prezzo, dovrà immediatamente sostituire il prezzo esposto con quello corretto. Ovvero, nel caso in cui il prodotto fosse stato pubblicizzato tramite “volantini”, dovranno essere rilasciati ed esposti in maniera ben visibile anche all’interno dell’attività. I manifesti pubblicitari aggiornati con l’indicazione dell’avvenuto errore. 

La legge a tutela del consumatore, infatti, sanziona gravemente le pratiche commerciali scorrette che potrebbero essere identificate come pubblicità ingannevole. Ma cosa possiamo fare nel caso in cui ci venga richiesta una somma diversa da quella esposta?

Se il negoziante non ha provveduto alla correzione dell’errore, il consumatore potrà esigere, al momento del pagamento, che il prodotto gli venga venduto al prezzo esposto sullo scaffale. Ciò accade in quanto, trattandosi di un’offerta al pubblico, per il perfezionamento del contratto è sufficiente che vi sia la mera adesione del consumatore all’offerta in questione. Pertanto, il negoziante dovrà necessariamente rilasciare il prodotto al prezzo esposto nonostante l’errore. Tuttavia, in questa circostanza, si riscontra un limite ben preciso: nel caso in cui il prezzo sia manifestamente inadeguato al valore del bene, rendendo palese l’esistenza di un errore; ecco che in tal caso il venditore sarà legittimato a non vendere il prodotto in questione al prezzo esposto. 

Oltretutto, se il venditore ha già provveduto a correggere il prezzo nelle modalità già indicate in precedenza (ex art. 1336 c.c. comma 1), la revoca del prezzo sarà valida anche nei confronti di chi non ne ha avuto notizia (idem comma 2).

Avv. Antonina Angela Parra
Dott. Riccardo Speciale

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